Marina Plavan, quarta donna nella grandiosità del Tor des Geants

Tutto cominciò quel lontano 1° febbraio, quando con un click al computer riuscii a far parte dei 770 concorrenti partenti al Tor des Geants 2014. Partirono gli allenamenti, luoghi di montagna bellissimi, dislivelli importanti, scelti con cura e vissuti intensamente. Pazza, incosciente, furono gli aggettivi che mi rivolsero amici e parenti, sapendo anche che otto giorni prima sarei stata sui nastri di partenza ancora una volta a Courmayeur per la CCC (102 km).

Poco per volta mi resi conto che se volevo arrivare al traguardo della gara di endurance trail più dura al mondo di 330 km con 24.000 metri di dislivello positivo non dovevo allenare solo le mie gambe ma anche la testa, abituarmi a correre con la frontale e non avere timore a fare km e km da sola anche di notte. Io e la montagna, “che tanto amo”, ma che porta con sè un sacco di insidie: vento, neve e pioggia.

7 settembre 2014: sono pronta alla partenza, con un grande e unico desiderio: arrivare. Appena la gara ha inizio tutti partono forse un po’ troppo forte, mi rendo conto della grandiosità della Tor e comincio a macinare vette su vette in compagnia di Omar, con il quale si era deciso di affrontare il viaggio fino a Cogne, cioè i primi 100 km. Questi valichi li conoscevo ed ero consapevole che l’Arp, il Fenetre, l’Entrelor e il Loson sarebbero stati i più duri, e fortunatamente si dovevano affrontare per primi, quando le forze ci accompagnavano un po’ di più. Già alla seconda salita il mio compagno di viaggio inizia ad accusare i primi crampi, che lo avrebbero accompagnato per almeno una decina di ore.

E forse questa è stata la mia fortuna, il poter rifiatare per aspettare lui, e poi andare in progressione come ho fatto. Giornate stupende e montagne bellissime, di notte ogni tanto la luna piena in cielo ci faceva vedere di tanto in tanto qualche sparuto concorrente con la sua frontale. Arrivati a Cogne verso Donnas si decide di proseguire in compagnia per quel tratto di gara che io reputo il più noioso, sono consapevole che di “base vita” in “base vita” avrei potuto vedere la mia famiglia. Che oltre ad incitarmi e credere in me mi obbligava a mangiare anche quando non ne avevo assolutamente voglia. A Donnas cena e massaggio e si riparte, ma la stanchezza comincia a farsi sentire e decido di riposarmi mezz’ora su un muretto in mezzo ad un bosco (la cosa mi fa sorridere ancora adesso).

A questo punto una dormitina di due ore è necessaria e prima di affrontare la salita al rifugio Coda mi fermo e di qui la mia gara sarà in solitaria, o meglio dovrò prendere le decisioni e le tattiche di gara da sola. Purtroppo saprò poi più tardi che il mio compagno è stato costretto al ritiro a Gressoney, dove io arrivo e trovo ad aspettarmi dapprima Giacomo, compagno di squadra e poi i miei amici, colleghi e compagni di tante avventure in montagna, che nonostante la pioggia incessante mi applaudivano e mi guardavano con ammirazione. Anche qui costretta a mangiare e fare doccia e massaggio da quei due “generali” di Alessia e Valentina, le mie figlie e dalle parole buone e dolci di Filippo, che io stimo tanto sia come atleta che come persona.

La partenza da qua è stata tragica. Pioveva, pioveva, pioveva. A quel punto ero nelle prime sessanta posizioni e non potevo permettermi di perdere troppo tempo. I volontari presenti in questa base vita mi consigliarono di attendere l’uscita di un altro concorrente, ma io pensavo di dover fare affidamento solo sulle mie forze; infatti il concorrente uscito poco prima di me, decide dopo un centinaio di metri di mettersi al riparo e di riposarsi ancora un po’. Salita verso il Colle Pinter dunque in solitaria e in notturna, sotto una pioggia torrenziale; ad un certo punto mi sembra di vedere un bel dipinto sui muri di un alpeggio e mi do della stupida per esserci cascata anch’io nel vortice delle allucinazioni. La discesa successiva mi fa nuovamente incontrare altri concorrenti. E la cosa che porterò per sempre nel cuore è lo sguardo di ogni persona incontrata. Uno sguardo chiaro, limpido e profondo, con una luce particolare. Occhi che esprimono fatica, coraggio e speranza e intravedono quell’arrivo ancora lontano di Courmayeur. Tra i tanti il ragazzo dagli occhi a mandorla che mi parlava ad ogni incontro, io non capivo nulla, lui non capiva nulla, almeno penso, di quello che gli dicevo, ma si concludeva sempre con una stretta di mano e un sorriso.

Ormai di qui in avanti ero sola, tra un concorrente e l’altro a volte c’era lo spazio temporale di ore ed io ero sotto alla cinquantesima posizione e soprattutto stavo bene. A Valtournenche, una breve sosta e si riparte in compagnia di Alessia e Valentina e di due ragazzi di “I run for find the cure”, che mi accompagnano per un breve tratto e poi in solitaria per tutto il giorno, in un tratto di percorso lunghissimo, aspro, di alta montagna, a volte lungo un sentiero a picco sulla valle, dove gli unici incontri sono stati quelli con i volontari, sempre buoni e disponibili. Senza di loro niente Tor des Geants.

I km che mancano cominciano a diminuire e si incomincia ad intravvedere l’arrivo. Ad Ollomont, ultima base vita ci arrivo alle due di notte, anche qui il mio “fans club” ad aspettarmi, decido di riposarmi un’oretta e alle ore 3.11 precise di notte mi chiamano, mi aiutano a mettere lo zaino in spalla, che ormai sembra pesare tantissimo e accompagnata stavolta da Omar riparto e alla grande.

Ormai manca poco. Anche se consapevole che saranno le ore più lunghe. Ho la fortuna di passare in quel bellissimo posto che è l’ultimo colle, il Malatrà, di giorno e di vedere la montagna in tutta la sua bellezza. Ho anche la possibilità di fare la foto, ho il fotografo personale! Da non sottovalutare poi l’ultimo tratto Rifugio Bonatti Rifugio Bertone dove abbraccio e bacio Carmela, che poi farà con me l’infida discesa fino a Courmayeur. Ultimo tratto scortata da Omar, Filippo con la sua bicicletta, Alessia e Valentina e dal nostre cane Mambo. Tutti assieme a me sul tappeto rosso. Sono finalmente arrivata dopo 102 ore di gioia, fatica e sudore. Quarta donna, quarantaseiesima posizione assoluta. E chi vuole di più! Siamo una grande squadra, senza i miei supporter, anche se le gambe le ho dovute muovere io, come mi ha detto una delle due ragazze questo non sarebbe stato possibile. Grazie Ale, Vale, Omar, Filippo e Mambo!

Marina Plavan
Valetudo Skyrunning Italia